May 18, 2007

私の家。Casa dolce casa.


ローマに引っ越ししてから、住所を何回も変えて、だいたい家具付きアパートに住んでいました。でも、2年間前から私の要求を完璧に満たしている家に住んでいます。
部屋が広いし、キッチンコーナーもあるし、地下鉄駅は歩いて5分しかかからないんです。その上、家の近くにきれいな店がたくさんあります。
でも、一番好きなのは家の広いテラスです。毎朝外に出て、友達がくれたウンブリア地方のデルタ町で生産した食器でゆっくり朝食をした後で、涼しい空気を吸いながらガーデンの様子をチェックをしたり、落ちた葉を掃いたりしています。
この家に住んでいるのおかげで、わたしの暮らし方は本当に進歩したと思います。

Da quando vivo a Roma ho cambiato diverse case, fortunatamente abitando sempre in appartamenti ben arredati e abbastanza curati. Da due anni, però, ho la fortuna di vivere nella casina che meglio risponde alle mie esigenze abitative: un attichetto sui tetti di Roma.
La casina è spaziosa e ben fornita, inoltre dista dalla stazione metro solo 5 minuti a piedi; nei dintorni ci sono anche diversi bei negozi.
La cosa che più mi piace è il grande terrazzo. Tutte le mattine, dopo aver fatto colazione con calma usando le bellissime terrecotte artigianali di Deruta (Umbria) ricevute in dono dalla mia cara amica Fabichan, controllo "la situazione piante" e raccolgo le foglie secche, respirando l'aria fresca del mattino e ascoltando i miei amici uccellini.
Sembrerà insignificante ma, anche questo, ha contribuito al miglioramento della mia vita :)

May 04, 2007

イタリア人とパスタ。Gli italiani e la pasta.



現在のイタリア人の食生活は戦後より深く変わりました。一人当たりの収入はだんだん増加して、毎日の消費する食料も増えました。その結果、今の一日のカロリー必要量は400カロリー以上増えました。特に動物性の食品、つまり卵や魚や牛肉や乳製品などの使用が増えました。
小 麦からできた食品なら、いままでのように使われていて、パスタとパンとピザが一番食べられている食品です。ところで、世界中のパスタの生産すると同時に消 費するは、もちろん、イタリアです。一年に一人当たり消費するパスタの量は28キロくらいです。このデータに対して、アメリカ人のパスタの消費量は6キロ しかありません。その次はドイツとフランスとスペインです。
最近、日本人もパスタが好きになりました。東京にイタリアレストランは400ぐらいあって、その上パスタは毎日の食生活に入りました。健康の食品の中にお米と小麦から食品があるので、イタリア人も日本人も毎日の食生活を見直しました。

Durante un tranquillo pomeriggio domenicale, davanti a una bella tazza fumante di ocha, con la mia cara amica Trilly (ricercatrice e sviluppatrice di food) ci è venuto in mente di cercare su internet in che modo si sono modificate le abitudini alimentari degli italiani negli ultimi decenni. Ne è venuta fuori una piccola e, spero interessante, ricerca.

L'alimentazione degli italiani si è profondamente modificata negli ultimi decenni, a cominciare dal periodo in cui il nostro Paese usciva dalle gravi restrizioni della guerra e del dopoguerra a periodi in cui il livello di reddito pro-capite (e quindi di benessere) è andato via via aumentando, per giungere fino ai nostri giorni.
Caratteristica fondamentale è stato il generalizzato aumento della gran parte dei nostri consumi alimentari (che ci ha portato ad assumere ogni giorno in media 400 k/cal in più rispetto a quanto raccomandato), con rilievo particolare per i grassi. Sono aumentati soprattutto i consumi di prodotti di origine animale, tra questi principalmente le carni, specialmente quella bovina, di pesce fresco nonchè di latte e suoi derivati e di uova.
Anche se in modo moderato, il consumo dei cereali ha subito un incremento costante a testimonianza della loro quotidiana presenza nelle abitudini alimentari italiane. In particolare sotto forma dei suoi principali derivati, quali il pane (inclusa la pizza) e la pasta, alimenti che che tutt'oggi rappresentano la cucina italiana nel mondo.
L'Italia è attualmente il maggiore produttore e allo stesso tempo consumatore di pasta al mondo. Il consumo pro-capite è di 28 kg all'anno, davanti agli Stati Uniti che registrano un valore di 9 kg all'anno. Per far fronte a questi ingenti volumi, i produttori italiani importano dall'estero circa il 30% dei grani (Stati Uniti, Australia, Grecia, Spagna...) che verranno poi trasformati in semole di grano duro dai mulini locali.
Dell'intera produzione, che attualmente ammonta a circa 3 milioni di tonnellate l'anno, circa il 60% è destinato al consumo nazionale. Tra i Paesi importatori di pasta italiana, la Germania ha strappato agli USA il primato con il 16,2%, contro il 14,9% americano. La Francia si attesta al 12,9%, la Gran Bretagna è all' 11% e il Giappone sale al 5,5%, dato di assoluto rilievo che testimonia l'espansione del mercato della pasta oltre i confini geografici e culturali. Per esempio, a Tokyo 500 ristoranti di prestigio fanno cucina italiana, e altri 400 tra Osaka e Kyoto. In Italia, nell'ultimo decennio, possiamo osservare un'apertura verso la cucina etnica internazionale, che trova però una forte resistenza nei consumi domestici, nei quali la fanno da padrone i piatti fortemente legati alla tradizione culinaria italiana, in primis la pasta, nelle sue molteplici forme, colori e profumi.

Confesso di essere un'italiana atipica e di non amare molto la pasta, ma dopo aver completato questa indagine mi è venuta voglia di un bel piatto di spaghetti!!! *^__^*

May 03, 2007

Caccia alle Balene. Problema ambientale o conflitto di interessi?


Recentemente mi è capitato di leggere diversi articoli di giornali che, nel disapprovare fermamente la caccia alla balena, identificano i giapponesi come i maggiori responsabili di questo disastro ambientale, corredando il tutto di filmati e foto decisamente raccapriccianti. In particolare, sul sito di Greenpeace, leggo questo: "Il governo giapponese dovrebbe investire meglio il denaro dei contribuenti: il 95 per cento dei giapponesi non ha mai mangiato carne di balena. Questa carne ha così poco mercato che resta invenduta nei magazzini, viene usata per preparare cibo per cani o addirittura finisce in discarica".
Così, presa dallo sconforto, mi sono messa a chiedere ai miei amici nipponici (coetanei, ma anche ai miei insegnanti) per quale motivo il commercio di carne di balena sia per loro così importante da mettersi addirittura tutto il mondo contro.
Le risposte sono state davvero interessanti. Nessuno di loro, infatti, come confermano i dati di Greenpeace, ha mai mangiato nella propria vita carne di balena, tantomeno ne fa un uso abituale. Non solo, più o meno tutti hanno definito questo alimento come qualcosa di molto costoso che viene servito in pochissimi ristoranti del Giappone, nonostante fosse in passato il "piatto dei poveri", invece oggi richiesto da esigenti estimatori e ormai parte di un'antica tradizione destinata probabilmente a scomparire. Vi confesso che la cosa mi ha quindi messo addosso non pochi dubbi, e ho così deciso di fare un po' di ricerche per chiarirmi le idee.

La caccia alla balena compare intorno al IX secolo in Norvegia, Francia e Spagna, verso il XII secolo anche nel Paese del Sol Levante. Forse non tutti sanno che, in seguito al diffondersi del Buddismo, dal V secolo d.C. in Giappone il consumo di carne è andato gradualmente scomparendo. Per questo motivo, nei secoli a venire, l'indispensabile apporto di proteine viene ricercato nelle risorse naturali alternative, quali i legumi e il pesce. I Giapponesi iniziano così a praticare la caccia ai cetacei nei propri mari e, nei secoli, a differenza degli altri Paesi "carnivori" più orientati all'allevamento e allo sfruttamento del bestiame, portano avanti la tradizione affinando le loro tecniche e adattandole poi nel XIX secolo a quelle dei maestri Norvegesi.

Dal XVIII secolo anche gli americani e gli inglesi iniziano a praticare la caccia alla balena ma, a differenza dei Giapponesi, non per approvvigionarsi di preziose proteine ma per estrarne soltanto il grasso, risorsa chiave per la produzione energetica.
È quindi nello scorso secolo che avviene il danno più grave nei confronti dei cetacei, sfruttati e quasi sterminati per illuminare le strade e, in generale, alimentare l'energia elettrica dell'intero Pianeta, soprattutto occidentale. Le tecniche sempre più evolute e l'avvento del cosiddetto Olimpic System (che dettava limiti di tempo ma non quantitativi e semplici obblighi di censimento dei cetacei cacciati) portano la situazione a degenerare fino alla necessaria istituzione dell'International Whaling Commission (ICW) nel 1946, che impone finalmente severe restrizioni nella pratica. Felicemente supportati dalla scoperta di giacimenti petroliferi in casa propria e non certo per un senso di colpa nei confronti del Pianeta, gli Stati Uniti saranno i primi a cessare definitivamente la caccia.
Negli ultimi anni del secondo conflitto mondiale, il Giappone chiede e ottiene la riapertura della caccia alla balena per alleviare la pesante crisi alimentare post bellica, in quanto sua preziosa ed economica risorsa alimentare da secoli. In seguito, il notevole miglioramento economico e la conseguente "occidentalizzazione", portano il Giappone al progressivo reinserimento delle proteine animali, oggi parte integrante (anche se non determinante) dell'alimentazione quotidiana.
Cessato totalmente l'utilizzo del grasso di balena come combustibile, negli anni la caccia si ridimensiona notevolmente ma si trova ad affrontare le conseguenze di un vero e proprio disastro ambientale. Nel 1982 la prima, blanda moratoria contro la caccia alle balene e nel 1986 il vero divieto di caccia, nonostante il quale Paesi come Norvegia, Islanda, Russia e Corea, seppur notevolmente ridimensionata, continuano la loro attività.

Nel 1994 i membri della IWC hanno approvato l'istituzione del Southern Ocean Whale Sanctuary, che copre un'area di 50 milioni di chilometri quadrati intorno all'Antartide. La riserva è stata progettata per proteggere un'area di alimentazione particolarmente critica per sette specie di grandi balene ma, paradossalmente, le stesse regole della IWC consentono la caccia alle balene in qualsiasi numero di esemplari purché siano "a scopo di ricerca scientifica"... È chiaro quindi che la stessa organizzazione perde di credibilità agli occhi del mondo usando due pesi e due misure a seconda del ritorno economico legato all'industria baleniera (che, secondo i dati gentilmente forniti dal mio caro amico Marco, si aggira attualmente intorno ai 50 milioni di dollari l'anno, ridicolo se paragonato a quello del Whale Watching tre volte più consistente).

Bisogna chiedersi quindi: cosa c'è dietro tutto questo? Se è vero che i Giapponesi non mangiano regolarmente carne di balena, chi ha davvero interesse a portare avanti questo commercio a livelli così rischiosi per l'ambiente?

Allo stesso tempo, facciamoci un esame di coscienza e cerchiamo di separare per un attimo il discorso "ambiente" da quello "etico".
Al pensiero di mangiare il mio cane o il mio gatto mi sento semplicemente disgustata, ma in Corea molta gente lo fa tranquillamente e in altri posti, quali la Tanzania, la gente non mangia aragoste o gamberi. In India, la maggiorparte delle persone non si ciba di bovini per motivi religiosi, ma non mi sembra che essi chiedano agli Stati Uniti di non consumare più hamburger ecc. nonostante sia interessante sapere che parte della Foresta Amazzonica sia stata disboscata anche per permettere gli allevamenti intensivi, e che le bestie che arrivano sulle nostre tavole non pascolano esattamente felici sui prati come ci fanno vedere gli spot in TV.
Tornando al Giappone, animali come il coniglio e il cervo sono trattati con particolare rispetto. Non mi sembra però che per questo motivo si permettano di suggerirci di modificare le nostre abitudini alimentari, tantomeno che ci additino come "Italiani divoratori di cervi e caprioli" diffondendo foto di questi animali a serio rischio di estinzione scuoiati e pronti per essere macellati e poi serviti nelle nostre tavole sul TG della sera. Vogliamo smettere di farci strumentalizzare e di additare gli altri solo perché riceviamo email a catena piene di dati che magari nemmeno capiamo o verifichiamo, casualmente poco prima di Pasqua?

Non crediate che in Giappone non abbia combattuto per sfatare diversi luoghi comuni sul nostro popolo. Tra l'altro io non mangio coniglio nè cervo nè tutto ciò che possa sanguinare davanti ai miei occhi... Eppure sono nata in una Terra dove è usanza comune mangiare carne di cavallo al sangue, pesce crudo tagliato mentre ancora si dimena e agnellini arrostiti per le feste. Anche se spesso non le condivido, credo che le tradizioni debbano essere rispettate e protette, chiaramente entro i limiti di rispetto ambientale, nonostante siano essi di difficile regolamentazione così come lo sono i margini di sfruttamento che le bestie subiscono da sempre da parte dell'uomo.