Ed ecco il famoso laghetto del Tempio, completo di petali galleggianti.
(foto by Maritochan)
"La nube arriva in Italia, è psicosi".
Così oggi il Corriere della Sera intitola un trafiletto in home page, tra una bomba in Libia e un gossip di Formula Uno, smentendo poi prontamente il contenuto allarmistico una volta fatto clic sull'approfondimento.
Posted by Claudia Casu at 12:58 11 comments
Labels: Cesano, Fukushima, Radiazioni, Radio Vaticana, terremoto
Posted by Claudia Casu at 23:07 8 comments
Labels: Ambasciata Italiana a Tokyo, Fukushima, terremoto
Cammino incerta sbattendo un po' ovunque, tutta concentrata su quello strano doloretto che mi si è affossato ormai da giorni dentro al naso. Sono completamente ubriaca di terremoto.
"Ciao claudia sono xxxx xxxxx, giornalista della xxxxxx xxxxxxx e collega di xxxxx xxxxxxxx. Sto raccogliendo i racconti degli italiani che hanno vissuto il terremoto in giappone. Puoi dirmi come stai, quanti anni hai, dove ti trovi e che lavoro fai? Sei di cagliari? È vero che c'è molta paura per le radiazioni? Grazie in anticipo, a presto!"
Caro giornalista che scrivi tutto basso, deprezzando le bellezze della nostra Lingua quali il maiuscolo e il minuscolo, la musicalità della punteggiatura, gli accapi. Lasciamo stare il mio umile nome, ma sostantivi come Giappone (Paese che mi ha accolta) e Cagliari (capoluogo della mia Regione e luogo natale di mio fratellino) non meriterebbero maggiore attenzione?
Non conosco il tuo collega, non l'ho nemmeno mai sentito nominare. Capisco che stai cercando di fare lo scoop del momento, ma la fretta e l'impersonalità con cui contatti una probabile futura e appetitosa terremotata traspira da ogni battitura.
Ciò che probabilmente mi disturba di più è il format da provino da Grande Fratello, mancano giusto altezza e peso (e orientamento sessuale, perché no).
Va bene, ti faccio fare lo scoop.
Sto bene, grazie. Vivo a casa mia con la luce elettrica, l'acqua calda, il gas.
Non ho perso nulla durante il terremoto, nemmeno il lavoro, presso il quale mi reco regolarmente nonostante i treni siano ridotti. Ma mi basta uscire di casa 20 minuti prima e fare un po' di fila.
Hai preso l'email dal mio blog, che sicuramente non hai nemmeno provato a leggere.
Altrimenti non mi chiederesti se sono di Cagliari.
Riguardo alle radiazioni si, c'è tanta paura e da anni. Mai sentito parlare di Radio Vaticana?
Scusate lo sfogo, ma è grazie allo sciacallaggio mediatico che si sta abbattendo sul Giappone se mia madre piange disperata immaginandomi avvolta in una nube tossica e ormai destinata a perdere denti e capelli.
E per il momento ho solo perso la pazienza.
Apriamo con cautela la porta blindata. Premo l'interruttore e la luce si accende.
Il cielo è plumbeo e cade qualche goccia.
Corro tra la folla come posso, schivando le persone, tenendo stretto il telefonino. Non posso chiamare nè spedire messaggi, non so nemmeno se potrò connettermi a Internet.
Supero negozi, alberi, insegne che ogni giorno mi accompagnano mentre cammino assonnata verso il lavoro.
L'adrenalina non mi fa avvertire la stanchezza, corro verso la mia meta.
All'interno dell'ospedale il clima è densissimo.
Decine di persone si sono raccolte davanti allo schermo della hall, che trasmette scene apocalittiche.
Alcune colleghe mi vengono incontro, mi chiedono cosa c'è là fuori, vogliono sapere dove ero, se i treni funzionano.
Trattengo le lacrime e racconto quel poco che ho visto.
Vado a rinfrescarmi alla toilette, e trovo posto vicino all'uscita est.
La linea è debole ma Internet funziona.
Facebook straborda di messaggi, commenti, faccio una fatica enorme a trovare il link giusto nello schermo del mio telefonino.
Mio marito è vivo.
Appena un'ora fa era alla stazione dove mi trovavo al momento della prima terribile scossa.
Ci sono troppi commenti, non riesco a capire dove si trova ora, faccio clic su "mi piace" per manifestare la mia esistenza.
Attendo con il cuore in gola una risposta.
Trascorrono 10 lunghissimi minuti, carico continuamente cercando tra i messaggi, troppi. Forse cammina incessante tra la folla e non riesce a leggere gli aggiornamenti.
Finalmente aggiorna la sua posizione, gli rispondo come posso di aspettarmi lì. Saluto a gesti le mie colleghe dietro al counter e volo via imboccando l'uscita est.
A naso decido di attraversare i canali per poi risalire verso Nord.
Il fiume di persone è sempre più denso, ci muoviamo celermente mantenendo le file e scorriamo ognuno nel proprio flusso.
Non ho una mappa e non posso visualizzare immagini sul telefonino, avanzo spedita seguendo il mio sesto senso.
Attraverso ponti, grattacieli dorati e infuocati dal tramonto dentro al mio esercito silenzioso.
Alla nostra sinistra la Tokyo Sky Tree palpita di luci, la vista mozzafiato della città sospesa sull'acqua toglie a tutti il fiato.
La strada trema, le sopraelevate contengono a fatica la fiumana di gente che si dirige ovunque.
Mi fermo un attimo al Koban per sincerarmi della direzione.
Il poliziotto mi avvisa che la mia meta è ancora lontana, e mi aspettano altri ponti sospesi sui canali e grattacieli da oltrepassare.
Cammino senza sosta seguendo le direzioni ricevute, comincia a fare seriamente freddo ma almeno la pioggia ha lasciato posto a un cielo viola. Il vento soffia gelido e attraversa il colletto della mia camicia bianca.
Guardo giù e vedo le mie gambe infreddolite che sbucano dalla gonna leggera. Oggi ho messo il cappottino caldo, per fortuna.
I negozi man mano spariscono, intorno a me solo palazzoni enormi e insegne gigantesche.
La terra trema ancora o forse è solo la stanchezza che si sta impossessando pian piano di me.
All'improvviso mi rendo conto di aver perso la strada.
Ricarico la pagina Facebook, chiedo aiuto a mio marito che ha il telefono con il GPS. Cavoli sono sicura di essere vicina.
Carico e ricarico decine di volte, i messaggi si affollano ed è difficile tornare al punto esatto. Mia "sorella" lavora nelle vicinanze, riesco a trovare la sua bacheca e scrivere un commento al suo aggiornamento. È rimasta bloccata in ufficio, ma l'edificio è vecchio e verranno presto evacuati tutti.
Passano i minuti, non so che fare. Finalmente leggo il messaggio "scrivi indirizzo".
Alzo gli occhi e vedo l'insegna enorme dell'AUDI. Mando velocemente questa indicazione, metto il telefonino in tasca e mi accuccio vicino ai cespugli perfettamente potati del negozio.
Una signora un po' sconvolta mi chiede dove ci troviamo, poi si accoda alla fermata dell'autobus insieme a una manciata di persone. Le auto scorrono lente, in coda tra mezzi cingolati e grossi furgoni. Dall'altro lato della strada sfilano lenti autobus strapieni di gente. Si è fatto buio e uno spicchio di luna osserva placida il finimondo.
Dal buio sbuca una figura familiare, i nostri occhi finalmente si incrociano. Non posso trattenere le lacrime.
Mio marito sta camminando incessantemente da ore. Proviamo a tirar giù una stima del tempo che ci vorrà per percorrere i 10 km che ci separano da casa.
Nel frattempo Luca dall'altro lato della Città si appresta a percorrerne quasi il doppio, SirDic e Sara almeno il triplo. Attualmente è il solo e unico modo per rientrare a casa.
Racconto in pochi secondi a mio marito le ultime ore trascorse, ascolto con ansia la sua versione. Il mobilio del suo ufficio è andato quasi distrutto e sono stati subito evacuati in superficie. Facciamo un piccolo rifornimento di acqua e cibo al primo Family Mart, e proseguiamo il nostro cammino seguendo il GPS del telefonino.
Attraversiamo in fila stradine, ponticelli su laghetti, accanto a noi un serpente interminabile di auto. Finalmente ci immettiamo sulla Route 10, la stessa strada che ogni giorno percorriamo sfrecciando sotto terra.
continua...
Sardegna e Giappone. Così lontano, così vicino.