May 03, 2007

Caccia alle Balene. Problema ambientale o conflitto di interessi?


Recentemente mi è capitato di leggere diversi articoli di giornali che, nel disapprovare fermamente la caccia alla balena, identificano i giapponesi come i maggiori responsabili di questo disastro ambientale, corredando il tutto di filmati e foto decisamente raccapriccianti. In particolare, sul sito di Greenpeace, leggo questo: "Il governo giapponese dovrebbe investire meglio il denaro dei contribuenti: il 95 per cento dei giapponesi non ha mai mangiato carne di balena. Questa carne ha così poco mercato che resta invenduta nei magazzini, viene usata per preparare cibo per cani o addirittura finisce in discarica".
Così, presa dallo sconforto, mi sono messa a chiedere ai miei amici nipponici (coetanei, ma anche ai miei insegnanti) per quale motivo il commercio di carne di balena sia per loro così importante da mettersi addirittura tutto il mondo contro.
Le risposte sono state davvero interessanti. Nessuno di loro, infatti, come confermano i dati di Greenpeace, ha mai mangiato nella propria vita carne di balena, tantomeno ne fa un uso abituale. Non solo, più o meno tutti hanno definito questo alimento come qualcosa di molto costoso che viene servito in pochissimi ristoranti del Giappone, nonostante fosse in passato il "piatto dei poveri", invece oggi richiesto da esigenti estimatori e ormai parte di un'antica tradizione destinata probabilmente a scomparire. Vi confesso che la cosa mi ha quindi messo addosso non pochi dubbi, e ho così deciso di fare un po' di ricerche per chiarirmi le idee.

La caccia alla balena compare intorno al IX secolo in Norvegia, Francia e Spagna, verso il XII secolo anche nel Paese del Sol Levante. Forse non tutti sanno che, in seguito al diffondersi del Buddismo, dal V secolo d.C. in Giappone il consumo di carne è andato gradualmente scomparendo. Per questo motivo, nei secoli a venire, l'indispensabile apporto di proteine viene ricercato nelle risorse naturali alternative, quali i legumi e il pesce. I Giapponesi iniziano così a praticare la caccia ai cetacei nei propri mari e, nei secoli, a differenza degli altri Paesi "carnivori" più orientati all'allevamento e allo sfruttamento del bestiame, portano avanti la tradizione affinando le loro tecniche e adattandole poi nel XIX secolo a quelle dei maestri Norvegesi.

Dal XVIII secolo anche gli americani e gli inglesi iniziano a praticare la caccia alla balena ma, a differenza dei Giapponesi, non per approvvigionarsi di preziose proteine ma per estrarne soltanto il grasso, risorsa chiave per la produzione energetica.
È quindi nello scorso secolo che avviene il danno più grave nei confronti dei cetacei, sfruttati e quasi sterminati per illuminare le strade e, in generale, alimentare l'energia elettrica dell'intero Pianeta, soprattutto occidentale. Le tecniche sempre più evolute e l'avvento del cosiddetto Olimpic System (che dettava limiti di tempo ma non quantitativi e semplici obblighi di censimento dei cetacei cacciati) portano la situazione a degenerare fino alla necessaria istituzione dell'International Whaling Commission (ICW) nel 1946, che impone finalmente severe restrizioni nella pratica. Felicemente supportati dalla scoperta di giacimenti petroliferi in casa propria e non certo per un senso di colpa nei confronti del Pianeta, gli Stati Uniti saranno i primi a cessare definitivamente la caccia.
Negli ultimi anni del secondo conflitto mondiale, il Giappone chiede e ottiene la riapertura della caccia alla balena per alleviare la pesante crisi alimentare post bellica, in quanto sua preziosa ed economica risorsa alimentare da secoli. In seguito, il notevole miglioramento economico e la conseguente "occidentalizzazione", portano il Giappone al progressivo reinserimento delle proteine animali, oggi parte integrante (anche se non determinante) dell'alimentazione quotidiana.
Cessato totalmente l'utilizzo del grasso di balena come combustibile, negli anni la caccia si ridimensiona notevolmente ma si trova ad affrontare le conseguenze di un vero e proprio disastro ambientale. Nel 1982 la prima, blanda moratoria contro la caccia alle balene e nel 1986 il vero divieto di caccia, nonostante il quale Paesi come Norvegia, Islanda, Russia e Corea, seppur notevolmente ridimensionata, continuano la loro attività.

Nel 1994 i membri della IWC hanno approvato l'istituzione del Southern Ocean Whale Sanctuary, che copre un'area di 50 milioni di chilometri quadrati intorno all'Antartide. La riserva è stata progettata per proteggere un'area di alimentazione particolarmente critica per sette specie di grandi balene ma, paradossalmente, le stesse regole della IWC consentono la caccia alle balene in qualsiasi numero di esemplari purché siano "a scopo di ricerca scientifica"... È chiaro quindi che la stessa organizzazione perde di credibilità agli occhi del mondo usando due pesi e due misure a seconda del ritorno economico legato all'industria baleniera (che, secondo i dati gentilmente forniti dal mio caro amico Marco, si aggira attualmente intorno ai 50 milioni di dollari l'anno, ridicolo se paragonato a quello del Whale Watching tre volte più consistente).

Bisogna chiedersi quindi: cosa c'è dietro tutto questo? Se è vero che i Giapponesi non mangiano regolarmente carne di balena, chi ha davvero interesse a portare avanti questo commercio a livelli così rischiosi per l'ambiente?

Allo stesso tempo, facciamoci un esame di coscienza e cerchiamo di separare per un attimo il discorso "ambiente" da quello "etico".
Al pensiero di mangiare il mio cane o il mio gatto mi sento semplicemente disgustata, ma in Corea molta gente lo fa tranquillamente e in altri posti, quali la Tanzania, la gente non mangia aragoste o gamberi. In India, la maggiorparte delle persone non si ciba di bovini per motivi religiosi, ma non mi sembra che essi chiedano agli Stati Uniti di non consumare più hamburger ecc. nonostante sia interessante sapere che parte della Foresta Amazzonica sia stata disboscata anche per permettere gli allevamenti intensivi, e che le bestie che arrivano sulle nostre tavole non pascolano esattamente felici sui prati come ci fanno vedere gli spot in TV.
Tornando al Giappone, animali come il coniglio e il cervo sono trattati con particolare rispetto. Non mi sembra però che per questo motivo si permettano di suggerirci di modificare le nostre abitudini alimentari, tantomeno che ci additino come "Italiani divoratori di cervi e caprioli" diffondendo foto di questi animali a serio rischio di estinzione scuoiati e pronti per essere macellati e poi serviti nelle nostre tavole sul TG della sera. Vogliamo smettere di farci strumentalizzare e di additare gli altri solo perché riceviamo email a catena piene di dati che magari nemmeno capiamo o verifichiamo, casualmente poco prima di Pasqua?

Non crediate che in Giappone non abbia combattuto per sfatare diversi luoghi comuni sul nostro popolo. Tra l'altro io non mangio coniglio nè cervo nè tutto ciò che possa sanguinare davanti ai miei occhi... Eppure sono nata in una Terra dove è usanza comune mangiare carne di cavallo al sangue, pesce crudo tagliato mentre ancora si dimena e agnellini arrostiti per le feste. Anche se spesso non le condivido, credo che le tradizioni debbano essere rispettate e protette, chiaramente entro i limiti di rispetto ambientale, nonostante siano essi di difficile regolamentazione così come lo sono i margini di sfruttamento che le bestie subiscono da sempre da parte dell'uomo.

3 comments:

  1. Cara Kazu, anche questa volta hai centrato nel segno! Veramente un eccellente post corredato oltre che di dettagli anche di punti di vista inediti che ci spingono oltre il perbenismo, che spesso nasconde ipocrisie e stereotipi. Mi permetto di aggiungere una domanda: che dietro tutto il biasimo nei confronti delle baleniere giapponesi vi siano gli interessi lucrosi negati di qualche potenza? L'America, per esempio, non sarebbe nuova a nascondere dietro questioni etiche azioni a favore del proprio tornaconto personale....
    Ancora Complimenti! ^_^ Continua così! ^*^

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  2. premettendo che io non ucciderei mai un agnellino, la differenza tra questi è le balene è che di sicuro gli agnelli non sono a rischio di estinzione per la macellazione di massa, dato che esistono allevamenti di pecore.
    Allevamenti di balene invece non mi pare ce ne siano, quindi la caccia alla balene è giusto sia regolamentata e non lasciata nelle mani di compagnie senza scrupoli.

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  3. Caro Salvatore, grazie per il commento.
    Proprio così, tutto ciò che facciamo dovrebbe essere sempre basato su regole di rispetto dell'ecosostenibilità, aldilà della nostra "morale".
    Recentemente ho saputo che le balene sono finalmente considerate furi dal rischio estinzione, grazie all'impegno di molti e alla lotta contro la pesca di frodo.
    A presto!

    Kazu

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