"La nube arriva in Italia, è psicosi".
Così oggi il Corriere della Sera intitola un trafiletto in home page, tra una bomba in Libia e un gossip di Formula Uno, smentendo poi prontamente il contenuto allarmistico una volta fatto clic sull'approfondimento.
March 24, 2011
La grande minaccia tossica è arrivata in Italia.
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Claudia Casu
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Labels: Cesano, Fukushima, Radiazioni, Radio Vaticana, terremoto
March 18, 2011
Irriducib(b)ili.
In vista del weekend lungo, molti dei miei amici italiani si sono spostati verso sud per fare scorpacciate di takoyaki e okonomiyaki. Luca ha addirittura organizzato una fantastica Casa Rifugio nella sua tenuta panoramica di Takarazuka (grazie per l'invito cicci, alla prossima mi fiondo).L'Ambasciata Italiana ci tiene costantemente aggiornati via email e tramite la loro homepage. Sono stati messi a disposizione diversi posti gratuiti nei voli odierni Osaka-Roma e Osaka-Milano per chi vuole rimpatriare, dando chiaramente precedenza a famiglie con bimbi e donne in stato di gravidanza. Una splendida notizia che sicuramente non verrà riportata dai nostri quotidiani, che dopo aver esaurito dati inventati estratti dal cilindro delle menate ora sono tutti presi dalle prossime mosse del Colonnello.
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Claudia Casu
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23:07
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Labels: Ambasciata Italiana a Tokyo, Fukushima, terremoto
March 16, 2011
Ubriaca e famosa.
Cammino incerta sbattendo un po' ovunque, tutta concentrata su quello strano doloretto che mi si è affossato ormai da giorni dentro al naso. Sono completamente ubriaca di terremoto.
"Ciao claudia sono xxxx xxxxx, giornalista della xxxxxx xxxxxxx e collega di xxxxx xxxxxxxx. Sto raccogliendo i racconti degli italiani che hanno vissuto il terremoto in giappone. Puoi dirmi come stai, quanti anni hai, dove ti trovi e che lavoro fai? Sei di cagliari? È vero che c'è molta paura per le radiazioni? Grazie in anticipo, a presto!"
Caro giornalista che scrivi tutto basso, deprezzando le bellezze della nostra Lingua quali il maiuscolo e il minuscolo, la musicalità della punteggiatura, gli accapi. Lasciamo stare il mio umile nome, ma sostantivi come Giappone (Paese che mi ha accolta) e Cagliari (capoluogo della mia Regione e luogo natale di mio fratellino) non meriterebbero maggiore attenzione?
Non conosco il tuo collega, non l'ho nemmeno mai sentito nominare. Capisco che stai cercando di fare lo scoop del momento, ma la fretta e l'impersonalità con cui contatti una probabile futura e appetitosa terremotata traspira da ogni battitura.
Ciò che probabilmente mi disturba di più è il format da provino da Grande Fratello, mancano giusto altezza e peso (e orientamento sessuale, perché no).
Va bene, ti faccio fare lo scoop.
Sto bene, grazie. Vivo a casa mia con la luce elettrica, l'acqua calda, il gas.
Non ho perso nulla durante il terremoto, nemmeno il lavoro, presso il quale mi reco regolarmente nonostante i treni siano ridotti. Ma mi basta uscire di casa 20 minuti prima e fare un po' di fila.
Hai preso l'email dal mio blog, che sicuramente non hai nemmeno provato a leggere.
Altrimenti non mi chiederesti se sono di Cagliari.
Riguardo alle radiazioni si, c'è tanta paura e da anni. Mai sentito parlare di Radio Vaticana?
Scusate lo sfogo, ma è grazie allo sciacallaggio mediatico che si sta abbattendo sul Giappone se mia madre piange disperata immaginandomi avvolta in una nube tossica e ormai destinata a perdere denti e capelli.
E per il momento ho solo perso la pazienza.
March 11, 2011
Ultima parte.
Apriamo con cautela la porta blindata. Premo l'interruttore e la luce si accende.
Terza parte.
Alcuni negozi chiudono le saracinesche, rientrano i furgoncini e le insegne illuminano porte chiuse.
La città che non dorme mai si prende una pausa, come in una qualsiasi città italiana a fine giornata lavorativa.
Penso alla mia famiglia in Italia, non sono ancora riuscita a chiamare nessuno.Chissà se mia sorella ha già sentito qualcosa... la mia mamma deve essere terrorizzata, avrà esclamato "ancora!", ricordando quando 10 anni fa le si fermò il cuore in gola. Ma questa è un'altra storia.
Mio fratellino può leggere Facebook, sa che appena potrò gli scriverò un'email.Continuiamo la nostra marcia senza sosta, il paraorecchie a volte sembra volare via dalle folate gelide. Guardo fiera i ponpon delle mie ballerine, da quando corro per le scale della Metro ho rinunciato ai tacchi alti e posso camminare per kilometri.
I palazzi si fanno sempre più radi e compaiono le prime fabbriche all'argine del mare.
Il marciapiede si trasforma in una rampa stretta e un po' ripida, stiamo per immetterci sulla superstrada. Ci aspettano 1317 metri di marcia sospesi sull'acqua.

Sotto di noi il mare.Vediamo in lontananza un rossore esteso, verso Kawasaki o giù di lì. Alcuni allentano il passo e indicano la zona. Sembrerebbe un grosso incendio. Ancora non conosciamo l'indescrivibile entità dei danni che il Nord Est del Giappone ha subito in poche decine di minuti.
Il ponte sembra interminabile, le scosse si avvertono lente e profonde e noi possiamo solo avanzare. Nessun treno corre nei binari accanto, sospesi in silenzio nel vuoto.
Finalmente cominciamo la discesa verso l'argine opposto. Le corsie pedonali che costeggiano il mare, così piccine e brulicanti durante la mattina viste dal treno, ora sono deserte e incredibilmente vicine.
I lastroni del marciapiedi sono sconnessi, in alcuni punti sprofondati. In altri sembra siano esplosi i condotti dell'acquedotto, il fango ha raggiunto la carreggiata e invaso parte della corsia. Mio marito scatta alcune foto con il telefonino.
...continua
Seconda parte.
Il cielo è plumbeo e cade qualche goccia.
Corro tra la folla come posso, schivando le persone, tenendo stretto il telefonino. Non posso chiamare nè spedire messaggi, non so nemmeno se potrò connettermi a Internet.
Supero negozi, alberi, insegne che ogni giorno mi accompagnano mentre cammino assonnata verso il lavoro.
L'adrenalina non mi fa avvertire la stanchezza, corro verso la mia meta.
All'interno dell'ospedale il clima è densissimo.
Decine di persone si sono raccolte davanti allo schermo della hall, che trasmette scene apocalittiche.
Alcune colleghe mi vengono incontro, mi chiedono cosa c'è là fuori, vogliono sapere dove ero, se i treni funzionano.
Trattengo le lacrime e racconto quel poco che ho visto.
Vado a rinfrescarmi alla toilette, e trovo posto vicino all'uscita est.
La linea è debole ma Internet funziona.
Facebook straborda di messaggi, commenti, faccio una fatica enorme a trovare il link giusto nello schermo del mio telefonino.
Mio marito è vivo.
Appena un'ora fa era alla stazione dove mi trovavo al momento della prima terribile scossa.
Ci sono troppi commenti, non riesco a capire dove si trova ora, faccio clic su "mi piace" per manifestare la mia esistenza.
Attendo con il cuore in gola una risposta.
Trascorrono 10 lunghissimi minuti, carico continuamente cercando tra i messaggi, troppi. Forse cammina incessante tra la folla e non riesce a leggere gli aggiornamenti.
Finalmente aggiorna la sua posizione, gli rispondo come posso di aspettarmi lì. Saluto a gesti le mie colleghe dietro al counter e volo via imboccando l'uscita est.
A naso decido di attraversare i canali per poi risalire verso Nord.
Il fiume di persone è sempre più denso, ci muoviamo celermente mantenendo le file e scorriamo ognuno nel proprio flusso.
Non ho una mappa e non posso visualizzare immagini sul telefonino, avanzo spedita seguendo il mio sesto senso.
Attraverso ponti, grattacieli dorati e infuocati dal tramonto dentro al mio esercito silenzioso.
Alla nostra sinistra la Tokyo Sky Tree palpita di luci, la vista mozzafiato della città sospesa sull'acqua toglie a tutti il fiato.
La strada trema, le sopraelevate contengono a fatica la fiumana di gente che si dirige ovunque.
Mi fermo un attimo al Koban per sincerarmi della direzione.
Il poliziotto mi avvisa che la mia meta è ancora lontana, e mi aspettano altri ponti sospesi sui canali e grattacieli da oltrepassare.
Cammino senza sosta seguendo le direzioni ricevute, comincia a fare seriamente freddo ma almeno la pioggia ha lasciato posto a un cielo viola. Il vento soffia gelido e attraversa il colletto della mia camicia bianca.
Guardo giù e vedo le mie gambe infreddolite che sbucano dalla gonna leggera. Oggi ho messo il cappottino caldo, per fortuna.
I negozi man mano spariscono, intorno a me solo palazzoni enormi e insegne gigantesche.
La terra trema ancora o forse è solo la stanchezza che si sta impossessando pian piano di me.
All'improvviso mi rendo conto di aver perso la strada.
Ricarico la pagina Facebook, chiedo aiuto a mio marito che ha il telefono con il GPS. Cavoli sono sicura di essere vicina.
Carico e ricarico decine di volte, i messaggi si affollano ed è difficile tornare al punto esatto. Mia "sorella" lavora nelle vicinanze, riesco a trovare la sua bacheca e scrivere un commento al suo aggiornamento. È rimasta bloccata in ufficio, ma l'edificio è vecchio e verranno presto evacuati tutti.
Passano i minuti, non so che fare. Finalmente leggo il messaggio "scrivi indirizzo".
Alzo gli occhi e vedo l'insegna enorme dell'AUDI. Mando velocemente questa indicazione, metto il telefonino in tasca e mi accuccio vicino ai cespugli perfettamente potati del negozio.
Una signora un po' sconvolta mi chiede dove ci troviamo, poi si accoda alla fermata dell'autobus insieme a una manciata di persone. Le auto scorrono lente, in coda tra mezzi cingolati e grossi furgoni. Dall'altro lato della strada sfilano lenti autobus strapieni di gente. Si è fatto buio e uno spicchio di luna osserva placida il finimondo.
Dal buio sbuca una figura familiare, i nostri occhi finalmente si incrociano. Non posso trattenere le lacrime.
Mio marito sta camminando incessantemente da ore. Proviamo a tirar giù una stima del tempo che ci vorrà per percorrere i 10 km che ci separano da casa.
Nel frattempo Luca dall'altro lato della Città si appresta a percorrerne quasi il doppio, SirDic e Sara almeno il triplo. Attualmente è il solo e unico modo per rientrare a casa.
Racconto in pochi secondi a mio marito le ultime ore trascorse, ascolto con ansia la sua versione. Il mobilio del suo ufficio è andato quasi distrutto e sono stati subito evacuati in superficie. Facciamo un piccolo rifornimento di acqua e cibo al primo Family Mart, e proseguiamo il nostro cammino seguendo il GPS del telefonino.
Attraversiamo in fila stradine, ponticelli su laghetti, accanto a noi un serpente interminabile di auto. Finalmente ci immettiamo sulla Route 10, la stessa strada che ogni giorno percorriamo sfrecciando sotto terra.
continua...
Il terremoto dentro.
Mi dirigo a passo deciso verso i sedili azzurri in mezzo alla piattaforma e prendo posto.
Accanto a me una vecchina in kimono che sonnecchia e due ragazze che cinguettano.
Sono in piedi dalle 6 e non vedo l'ora di arrivare a casina, farmi una bella doccia calda e mangiare magari un po' di sushi, oggi me lo merito in fondo.
Un fastidioso ronzio invade l'aria e la vecchina accanto a me apre gli occhi.
"Jishin. Jishin da!" esclama. Il terremoto.
Tutto intorno inizia a vibrare. I pannelli pubblicitari sbattono sulle piastrelle e cominciamo ad avvertire il senso di vuoto.
L'aria è pesante e il pavimento oscilla, impossibile stare seduti, impossibile alzarsi in piedi.
Avvertiamo il sospiro del mondo che si muove sopra di noi, impotenti. La scossa è infinita e non accenna a fermarsi.
Sono sottoterra, paradossalmente abbastanza al sicuro, e il mio pensiero corre immediatamente al 15° piano di un grattacielo vicino Shinjuku. Trascorrono forse più di due minuti prima che riusciamo a muoverci.
Afferro il telefonino che si spegne tra le mie mani. Ieri notte ero troppo stanca e ho scordato di metterlo in carica.
Gli altoparlanti confermano una violenta scossa e invitano alla calma.
Tutto mugola, cingola, vacilla.
Ci dirigiamo tutti lentamente verso il piano terra, sorpresi e storditi.
Il silenzio è impressionante. Sappiamo tutti cosa è successo là fuori ma prendiamo tempo per rendercene conto.
Man mano la gente si raggruppa verso i tornelli, ci scambiamo informazioni e monetine tra sconosciuti.
Davanti a due telefoni pubblici si forma una piccola coda. Nessuno ottiene risposta dall'altro capo del filo.
Un'altra scossa, violenta, ci riporta attenti. Mi aggrappo alla balaustra d'acciaio per non cadere.
Attendo paziente in fila per poter chiamare; la voce metallica risponderà anche a me la stessa cosa.
Nel frattempo arriva un treno che scarica decine di persone ammutolite.
Ragiono sul da farsi.
Sono sola in pieno centro a Tokyo, cellulare scarico, il corpo indolenzito.
Devo assolutamente ricaricare la batteria del cellulare.
Decido di uscire all'aperto per farmi un'idea della situazione. La terra trema ancora.
Intorno a me migliaia di persone in giacca e cravatta, alcuni indossano caschi bianchi protettivi.
Le macchine intasano le strade, nessun rumore di clacson. Il panico è ordinato e pulito.
Mi informo e inforco la strada per il negozio Softbank più vicino, un km a sud est.
Lungo il marciapiede cenni di vetri rotti arginati da transenne rosse, gruppi di persone in abito o in divisa.
Turisti sperduti con grosse valigie e le maniche corte, i volti infuocati dalla stanchezza e dallo spavento.
D'istinto cerco il mio viso nella vetrina del negozio accanto.
Finalmente raggiungo il negozio Softbank e connetto il mio cellulare alla presa di corrente.
Appollaiata su uno sgabellino bianco aspetto con pazienza che riprenda vita.
Nel frattempo, impossibile telefonare o spedire sms.
La radio del negozio trasmette le prime sconcertanti informazioni. Qualcuno si accascia nei divanetti bianchi, altri cercano di connettersi a Internet mentre tutto continua a tremare.
Internet!
mi viene in mente Facebook, magari mio marito è riuscito a postare qualcosa.
Ma il traffico dati è pazzesco e la pagina non carica, ho ancora troppa poca batteria.
Mi accorgo anche di avere una fame pazzesca, devo anche andare in bagno.
Da qui posso tornare a piedi al lavoro, e magari chiedere di usare il telefono della manager room.
La batteria è al 50%, no meglio caricare qualcosina in più... 57%, può andare.
Stacco tutto, ringrazio sentitamente il personale e corro, corro.
...continua